IL GIORNALE DI VICENZA
Lunedì 26 Gennaio 2004
Intervista a Luigi Veronelli: La rivoluzione dei comuni De.Co.
- Sono un anarchico perché sono liberale come il mio maestro Benedetto Croce - La strada è quella indicata dai francesi che hanno i “Cru” e i “Grand Cru” - Una lezione a Padova Il celebre scrittore e giornalista ha spiegato cos’è la denominazione comunale d’origine «I Comuni unico rimedio contro le multinazionali»
Luigi Veronelli all’università spiega la rivoluzione della “De.C.O.”
di Antonio Di Lorenzo
inviato a Padova
Vuole ribellarsi alle logiche delle multinazionali, che schiacciano tanto i gusti quanto l’economia locale, e uniformano i consumi del pianeta. In nome della difesa del particolare , ha deciso di chiamare a raccolta i Comuni a valorizzare le proprie produzioni.
Non è una santa alleanza, perché lui è ateo e anarchico, ma la religione laica del rispetto del prossimo, che vuol dire rispetto del lavoro altrui, della sua cultura, del suo giusto profitto, c’è tutta nella sua proposta di una “Denominazione comunale d’origine” dei prodotti (l’acronimo è “De. C. O.”). L’idea si sta diffondendo in Italia . Già 250 Comuni l’hanno adottata. E cinquanta di questi sono del Veneto.
- Perché ce n’è bisogno?
«Le faccio un esempio fresco fresco. I produttori spagnoli di lardo sono andati negli uffici dell’Unione Europea a Bruxelles per chiedere che sia cancellato il criterio geografico nell’attribuzione dei prodotti. E sa perché?»
- No. Racconti.
«Perché altrimenti loro non possono più vendere ai Comuni attorno a Colonnata il loro lardo spagnolo».
- Se c’è qualcuno che vende c’è anche qualcuno che compra. E che rivende. Il mercato è pieno di lardo che viene spacciato per quello di Colonnata mentre non lo è. Come è ricco di farina di “mais Marano” o “maranelo” che dir si voglia, che non può essere vera, perché nella zona di Marano se ne producono poche centinaia di quintali. Qual è il meccanismo che non funziona, secondo lei?
«Le grandi industrie, la grande distribuzione e le multinazionali hanno interesse a far passare il principio della “ultima trasformazione sostanziale” nella produzione. È un’idea orwelliana che stanno cercando di far passare a Bruxelles, in base alla quale un prodotto può avere la denominazione del territorio in cui avviene non la produzione, ma il confezionamento. Per cui si compra chissà dove, si inscatola qui e il prodotto, automaticamente, diventa nostrano. Come il lardo di Colonnata... che è spagnolo. In questo modo non si garantisce nulla: né la qualità, né la produzione locale, né i consumatori. Anzi, questo implica lo sfruttamento di coloro che coltivano la terra - in Italia o in altri Paesi, specie del Sud del mondo - a vantaggio di chi gestice il commercio e la trasformazione dei prodotti».
- Perché aver fiducia nei Comuni?
«Perché il padre Dante diceva che le uniche autorità cui dare rispetto sono il padre, la madre e il Comune. Il periodo dei Comuni è il più bello della storia italiana».
- Ma adesso cosa può fare il sindaco contro lo strapotere delle multinazionali?
«Può difendere il suo territorio. E non è poco. Il sindaco, attraverso le Denominazioni d’origine comunali certifica la provenienza di ogni prodotto dalla sua terra. Tecnicamente, il Consiglio comunale deve approvare un regolamento ad hoc e istituire un albo dei prodotti locali. Ma il significato è profondo: contrastare il tentativo - anche della Ue - di annullare i giacimenti gastronomici locali a favore dei prodotti industriali».
- Nel Veneto hanno aderito 50 Comuni. Sono pochi o tanti?
«Poche regioni in Italia come il Veneto hanno così tanti prodotti su cui far leva. La “De. C. O.” punta a valorizzare la cultura della terra e non solo la coltura. E quella del Veneto è una bella terra, sotto entrambi i profili».
- In Francia esistono i “Cru” e i “Grand Cru” per caratterizzare il vino, fino a individuare il singolo vigneto.
«Il ragionamento è lo stesso delle “De. C. O.”. Se ha funzionato in Francia perché non dovrebbe funzionare altrove?»
- Ha già delle prove?
«Guardi Lecce. L’anno scorso il sindaco, che è Adriana Poli Bortone (già ministro dell’Agricoltura con Berlusconi, esponente di Alleanza Nazionale, quindi persona che ha sicuramente l’idea e il senso dello Stato) ha adottato la “De. C. O.” per i prodotti comunali. Sa cos’è successo per i carciofi? Gli introiti per i produttori sono aumentati del 19% mentre il prezzo dei carciofi al consumo è diminuito del 4%. Il motivo c’è: è stata eliminata l’intermediazione, specie la grande distribuzione. I prezzi, quindi, calano».
- È sempre un sogno per il consumatore riuscire a dribblare la grande distribuzione (e i conseguenti aumenti di prezzo) e comprare direttamente alla fonte.
«A Parigi lo fanno da 50 anni con la Foire des Particuliers, la “Fiera dei particolari”, affollata di produttori che lavorano bene, ma sono sconosciuti al grande pubblico perché fuori dai circuiti. I francesi hanno imparato a fidarsi e ad acquistare da loro. E ci guadagnano in qualità e prezzo. In Italia ho riproposto questo schema al Centro sociale Leoncavallo di Milano con la Fiera dei particolari. È stato un grande successo».
- Ma il pubblico, nella società della comunicazione globale che martella di spot fascinosi, recepisce questa novità della “Denominazione comunale d’origine”?
«Lo chieda ai produttori della patata di Martinengo, nel Bergamasco, oppure a quelli che producono la farina di Castegnato, nel Bresciano: non stanno più dietro alle richieste».
- Come può un prodotto di nicchia avviare un processo economico di grande scala, che consenta adeguati margini a produttori e consumatori?
«Basta crederci. Prenda l’olio. La produzione italiana è di 5 milioni di tonnellate. La richiesta è di 7 milioni di tonnellate. Nonostante questo, quest’anno nella zona di Barletta, che ha centinaia di migliaia di olivi, non è stata effettuata la raccolta delle olive. Il motivo è solo economico: al produttore raccogliere la quantità di olive necessaria per litro d’olio costa diecimila (vecchie) lire. Le multinazionali importano olio dai malavitosi...»
- Ne è sicuro?
«Il mercato dell’olio è una me... a. Lo dico da sempre e aspetto le querele. Finora non sono arrivate».
- Diceva dell’olio delle multinazionali...
«Non si sa di che origine sia, viene lavorato chimicamente dalle multinazionali e venduto come olio extravergine per 3.750 lire al litro. A questo punto capisce perché le olive restano sull’albero».
- Cosa suggerisce?
«Bisognerebbe difendersi dalle orribili leggi in vigore anche in Italia, e che nessuno cambia. Dal canto nostro, il 2 febbraio occupiamo il porto di Monopoli, a Bari, dove è stato bloccato un cargo con olio di nocciole rettificato, arrivato dalla Turchia. In questa società non si deve ricorrere alla violenza, ma a mezzi estremi sì. Non si può obbedire a leggi inique. Ecco perchè sono anarchico».
- Il motto dell’anarchia è “Né leggi né Stato”. È questo che vuole?
«L’anarchia l’ho imparata dal mio maestro Benedetto Croce, che nel dopoguerra teneva lezioni a Milano, al partito liberale. Sono anarchico perché sono liberale».
- E l’amore per il vino chi gliel’ha insegnato?
«Mio padre. Il giorno della prima Comunione mi ha fatto assaggiare un bicchiere di vino. E mi ha detto: “Non mandarlo giù subito. Guardalo, annusalo...”. È questo il segreto. Spesso mi chiedono: “Come si fa a diventare Veronelli?”. Rispondo: “È facile. Basta stare attenti a quello che si porta al naso e alla bocca” ».
- Lei che è così sensibile alle questioni legate ai prezzi, cosa dice di bottiglie di vino che costano sessanta, cento e anche duecento euro?
«Non comprerei mai un vino che costa 30 euro...»
- Per forza, lei è Veronelli: a lei i vini glieli regalano.
«Certo. E per mestiere li assaggio. Ma sono attento a consigliare un ottimo vino che costa 2 euro e mezzo. Voglio dire: un vino può anche valere 200 euro, ma non voglio spenderli».
- Perché?
«Perché io sono molto interessato al piacere, nell’accezione più ampia del termine. Ma ho grande rispetto per coloro che non se lo possono pemettere. E allora ho invitato il mio amico Andrea Franchetti, che a Sarteano, nel Senese, produce un vino da 250 euro alla bottiglia, a portarlo al Centro sociale Leoncavallo e a farlo assaggiare ai ragazzi. Lo ha fatto. E poi sono impegnato nella campagna del prezzo sorgente».
- Cosa vuol dire?
«Semplice. Sull’etichetta di ogni prodotto dovrebbe essere indicato quanto costa al produttore...»
- Poi, però, al ristorante si paga di più.
«Certo, ma a quel punto il sovrapprezzo dovrà essere documentato dal servizio offerto. Il rincaro, cioé, sarà giustificato dal valore aggiunto che il ristorante o l’enoteca avrà fornito. Poi starà al cliente decidere se valeva questo rincaro oppure no. Di sicuro si ristabilirà un mercato intelligente. Parecchi vignaioli, tra i migliori, hanno aderito a questa proposta; che, se applicata, farà rinascere anche gli agenti di commercio e i pubblici esercizi».