L’insegna recita «Trattoria Lovise dal 1893» e non a caso la specialità dei ‘bigoi mori’ fa tornare il calendario al tempo in cui la pasta era questione di olio di gomito: per la sfoglia c’era il matterello, mentre per le paste trafilate si usava il torchio. I bigoli appartengono alla categoria dei vermicelli e non a caso prendono nome dal ‘bigo’ o ‘bigatto’, che altri non è che il baco da seta, così familiare alle famiglie contadine di cento e passa anni fa, specie da queste parti. Nel termine ‘torchio’ sono inevece implicite due azioni: la torsione e di conseguenza la pressione.
Per lavorare la pasta con questo attrezzo si fa leva su un manubrio collegato a un pistone che forza la pasta attraverso una trafila di bronzo. I bigoli hanno sezione cilindrica, come di grossi e ruvidi spaghetti. La lavorazione a freddo e l’asciugatura naturale danno loro una consistenza inconfondibile. Riguardo la preparazione le scuole di pensiero sono alquanto diverse, sia per quel che riguarda la farina, di grano tenero o duro, o mista, sia per il numero di uova necessarie. Senza dire, per l’appunto, della versione integrale, – i ‘bigoi mori’, – che si ricollega al mangiar del venerdì e degli altri giorni di magro: l’impiego di farina non raffinata e di olio d’oliva riconduce la ricetta entro termini penitenziali.
Secondo tradizione, il giorno delle Ceneri i bigoi mori si mangiano ‘in salsa’, con l’intingolo che si ottiene stemperando nell’olio d’oliva alcunis filetti di sarda salata. Ciò premesso, si varca la soglia di Lovise, che prepara i ‘bigoi mori’ sull’onda della nostalgia per certi intensi sapori del passato: farina di grano tenero e farina integrale macinata a pietra, tre tuorli e due albumi, acqua quanto basta. Tutto qui, lavorando a lungo l’impasto, perché uno dei segreti della consistenza dei bigoli sta proprio nella prolungata manipolazione. Ne risulta una pasta piuttosto scura e gradevolmente amarognola, trafilata a 0,3-0,5 millimetri e tagliata a 25-30 centimetri di lunghezza; come condimento, la scelta più consueta è tra il ragù di carne e quello d’anatra, di precetto, per così dire, nella festa del Rosario, ai primi d’ottobre, ma ormai adottato in ogni stagione.
I “Bigoli neri di Costabissara” sono un prodotto tradizionale del territorio di Costabissara ed è identificato dal logo De.Co. nelle etichette delle confezioni o sui menù dei ristoranti.
Per la preparazione dei “Bigoli neri di Costabissara” si utilizzano materie prime quali: farina bianca di grano tenero tipo OO, farina integrale costituita da farinaccio di grano tenero macinato con la pietra, uova e acqua.
Per preparare 1 kg di bigoli neri occorrono i seguenti ingredienti:
700 gr. di farina bianca di grano tenero di tipo 00
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300 gr. di farina integrale costituita da farinaccio di grano tenero macinato con la pietra
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n. 3 tuorli d’uovo e n. 2 albumi
acqua quanto basta.
L’impasto deve essere manipolato fino ad ottenere una consistenza omogenea ma elastica allo stesso tempo, apparirà quindi asciutto e compatto. Il tutto viene lasciato riposare per circa due ore. Una volta realizzata l’amalgama, questa viene portata al torchio con filiera in bronzo dal quale usciranno i bigoli nella lunghezza pari a circa 25/30 cm. I bigoli vengono poi posti ad asciugare, distesi su canovacci, prima di essere cotti e consumati.