‘A l’amigo se péla el figo, al nemigo se péla el pérsego’, questo proverbio testimonia la considerazione di questo frutto in terra vicentina. A Creazzo, in particolare, nella stessa fascia di coltura del broccolo fiolaro, fino al secondo dopoguerra lo si coltivava in termini di una certa rilevanza commerciale.
Immancabili, presso ogni fattoria, infatti, erano uno o più alberi di fico, piantati a ridosso di un muro rivolto a sud, o comunque in luogo asciutto, perché questa specie mediterranea ama il terreno asciutto e riparato. Le piante erano numerose – lo testimonia anche il nome di una certa strada Figarola – e davano origine a una produzione che aveva il suo momento di gloria l’8 settembre, in occasione della festa della Madonna di Monte Berico.
Tra le tante varietà, circa 700 dicono gli agronomi, a Creazzo fichi più diffusi erano quelli a frutti piccoli, che erano un vero concentrato di sapore. Spettava alle donne raccoglierli e portarli al mercato in canestri di vinimi. Negli anni Trenta il poeta dialettale Adolfo Giuriato ha descritto nella poesia «Piazza delle Erbe» l’atmosfera di quelle mattine:
“Sole in piazza: ziel slusento / comarego de siorete / zironzare de servete / … torno ai banchi messi in piovare / dove in mostre alquanto estrose / che xe grazia e fantasia, / ride e sluse i fruti in gloria / tra ‘na sagra de color. / De sti fruti, trono e gnaro / xe la corba e la sestela, / e le rame di visela / e le frasche de figàro / fa contrasto co’ le piere / del palazzo de Palladio, / che le pare più leziere / e le ciapa infin calor. /… Che pitura! Che delizia! / E l’arieta in alegria / fa pensare a la belezza / de stì broli in setembrìa: / pomi peri fighi pèrseghi, ua che sbocia de dolcezza / e codogni, brombi, àmoli / e le cornole in fogor. /… La basilica e la zente, eco, vive in compagnia / e un fiorir de poesia / fa la piaza più ridente. / Tra ‘l so’ popolo, in quel’ora, / torna vivo anca Paladio / e qualcosa che inamora / canta alegro in ogni cor.
È risaputo che la pianta di fico fruttifica in due periodi: a fine giugno si raccolgono i i fighi dela prima fiòra (fioroni), in numero limitato e più grossi della media; tra fine agosto e settembre tocca a quelli della seconda fiòra (forniti), che rappresentano la produzione vera e propria. A voler essere precisi ci sarebbe anche un terzo periodo, perché dopo una breve pausa spuntano i tardivi, che tuttavia maturano solo se l’autunno è particolarmente mite (quelli che restavano acerbi, entravano nel calderone della preparazione della mostarda).
Il consumo riguardava per lo più il frutto fresco, anche se qualcuno s’industriava ad essiccarli al sole. I fichi secchi venivano mangiati con la polenta, come alternativa al solito formaggio, oppure trovavano impiego nella preparazione del pan de fighi, antesignano del pane con l’uvetta, comparso solo in tempi piuttosto recente. Pezzetti di fichi secchi servivano anche per arricchire l’impasto di una fugassa di farine miste, bianca e gialla, oppure come ingrediente, assieme a mele, pinoli e uvetta, della più amata tra le torte rustiche, la pinza, ancor meglio nota come putana.
Oggi, dopo un periodo d’eclisse, si torna a parlare dei fichi di Creazzo come prodotto stagionale d’eccellenza: come punto di riferimento c’è tutta la tradizione dei dolci da forno e delle marmellate, ma la tendenza è verso un’espansione del loro impiego nella preparazione di piatti, salse e dessert d’alta cucina.