Gli asparagi Dop di Bassano, il broccolo di Creazzo, la patata di Rotzo e il formaggio asiago (Dop anche questo) ormai li conoscono tutti. Molti meno sanno che una varietà rinomata di asparagi si coltiva anche a Marola, che a Creazzo crescono fichi dolcissimi, che le patate hanno trovato un habitat ideale anche sul Monte Faldo (sopra Trissino) e che dalle parti di Marano è una tradizione il formajo nel pignato. Nello sterminato panorama dei prodotti tipici, quello delle Denominazioni Comunali è un mondo in continua crescita. In Italia sono oltre 400 i comuni che hanno adottato questa strategia, e solo nel Vicentino se ne contano 33.
Tutto nasce da un’idea del critico enogastronomico Gino Veronelli: l’obiettivo è valorizzare i prodotti di nicchia, le lavorazioni tradizionali e le varietà locali. Così di nicchia da sfuggire spesso alle altre denominazioni di tutela come Dop, Igp o Doc. Il massimo del locale, insomma, come risposta alla globalizzazione e ad un mercato sempre più standardizzato. Al contrario, qui si punta tutto su storia, tradizione e territorio di un singolo Comune, a volte di una frazione, o, in alcuni casi, di una sola azienda. La procedura, oltretutto, è molto più snella di quella richiesta per altri tipi di certificazione, anche perché la De.Co non è un vero e proprio marchio. Basta una delibera comunale, e il gioco è fatto. Nel Vicentino la prima a seguire questa strada è stata Recoaro nel 2003, con il marchio De.Co applicato all’acqua e agli gnocchi con la fioreta. Poi è stata la volta del radicchio rosso di Asigliano, del broccolo fiolaro. E via a cascata.
Oggi i prodotti De.Co. sono quasi cinquanta, tra ortaggi, frutta, formaggi, insaccati, tagli di carne, prodotti lavorati e piatti pronti. Alcuni sono noti, come i piselli di Lumignano, le patate di Rotzo, il riso di Grumolo o il mais di Marano. Altri sono rarità salvate dall’estinzione andando a cercare negli orti di qualche anziano e nei cassetti della memoria, come la carota bianca di Monticello Conte Otto, gli spaghi (o tegoline del diavolo) di Dueville, il tarassaco di Rubbio o le antiche varietà di mele e pere di Lusiana. Non mancano lavorazioni artigianali come quelle per la produzione della carne secca (ancora a Lusiana), di insaccati (la bondola di Torrebelvicino), di formaggi (i formaggi di grotta di Schio), del mandorlato di Lonigo o delle mostarde di Montecchio. E sono riconosciuti anche piatti pronti come la patona di Tonezza o i bucatini di Lugo. O vini a lungo proibiti come il clinto di Villaverla.
In particolare, le De.Co si rivelano una risorsa soprattutto per le aree marginali, quelle escluse dai tradizionali itinerari turistici. Non a caso tra i comuni coinvolti si trovano Posina, Laghi, Altissimo, Recoaro, Rubbio. Si tratta di piccoli numeri, di nicchie, spesso di turismo locale. Ma il trend è in crescita. La strada da seguire è quella del broccolo fiolaro di Creazzo che, giunto ad un passo dall’estinzione, negli ultimi anni ha saputo ritagliarsi uno spazio nei mercati, nei banconi delle gastronomie e nei menù dei ristoranti (anche quelli stellati: Carlo Cracco docet), dando così fiato anche ai produttori locali.
Gli investimenti, in questo senso, non sono mancati. La Provincia, con il braccio operativo del consorzio Vicenzaè, ha messo in piedi uno dei siti più completi a livello nazionale per questo tipo di prodotti. Ha sfornato depliant e pubblicazioni, e ha lavorato per portare i prodotti del vicentino sulle televisioni di mezza Italia. Ultimo caso, la prova del cuoco di RaiUno, con lo chef vicentino Antonio Chemello. Il rientro è difficile da quantificare, ma il moltiplicarsi di iniziative, sagre, serate a tema, dimostra che i risultati stanno arrivando.
Non mancano, però, i rischi. L’esempio è quello della sopressa vicentina, uno dei vanti della gastronomia provinciale, che da anni ha ottenuto il riconoscimento della Dop. Il 2011 si è chiuso con la produzione in crescita del 37 per cento, e con le fette di sopressa che sempre più spesso appaiono in mercati nuovi, fuori dai confini della provincia. “Lombardia e Piemonte, soprattutto, sono mercati in fermento. Ma abbiamo riscontri in tutto il Nord Italia”, conferma il direttore del consorzio Andrea Monico. Capita però che Valli del Pasubio, patria della sopressa, abbia deciso di concedere anche la De.Co. In teoria, niente di male. In pratica, il rischio di creare confusione e di vanificare gli sforzi fatti fino per la promozione della dop è dietro l’angolo. “Il proliferare di marchi e marchietti è un segnale di miopia – conclude Monico – È il classico caso in cui non si riesce a unificare gli sforzi e lavorare assieme: in questo il Vicentino può fare scuola”.
Fonte http://www.nuovavicenza.it/2012/03/sopressa-e-fiolaro-occhio-al-marchio-deco/