Caciotta di capra di Marano

L’allevamento caprino e la produzione di formaggi di capra nell’Alto Vicentino ha radici che risalgono fino al 1500, merito della rusticità dell’ animale che non richiedeva particolari attenzioni e quindi lasciato ad alimentarsi liberamente, frenava l’invadenza dei rovi e di altre infestanti, preservando in tal modo il regolare sviluppo delle coltivazioni arboree e dei vigneti, e quindi bene si inseriva nella coltivazione pedemontana dell’alto vicentino, e merito anche della bontà delle sue carni e dei suoi prodotti caseari che integrava l’alimentazione rurale dei contadini.
Sembra che la presenza della capra nel territorio alpino e prealpino sia da far risalire al tempo delle migrazioni dei popoli danubiani che, attraverso i Balcani, giunsero nelle nostre vallate attorno a V millennio a.C..
Come per altre specie, l’opera di selezione dell’uomo ha sicuramente modificato la conformazione e la produzione zootecnica.
La frazione lipidica del latte di capra risulta più digeribile e con un maggior coefficiente di assorbimento intestinale rispetto a quella del latte vaccino. Per quanto riguarda il tenore proteico, il latte di capra si caratterizza per un contenuto in proteine totali intermedio tra quello vaccino e quello umano. Dal punto di vista nutrizionale risulta interessante la maggiore quantità di sieroproteine, che aumenta il valore biologico del latte e lo rende più digeribile rispetto a quello vaccino. (tratto da: “Gli Ovi-caprini del territorio vicentino” della Provincia di Vicenza).


La “CACIOTTA DI CAPRA DI MARANO” De.Co. è un prodotto tradizionale del territorio di Marano ed è identificati dal logo De.Co., del quale ne è vietato l’uso improprio.

3. AREA DI PRODUZIONE
Territorio del Comune di Marano Vicentino.

4. INGREDIENTI
• Latte di capra biologico intero
• Fermenti lattici
• Caglio vegetale
• Sale
Eventualmente aggiunta di rucola, radicchio, erba cipollina ecc. tutti provenienti da az. Agricole certificate Bio.

5. METODO DI PRODUZIONE E PREPARAZIONE
• Pastorizzazione del latte a 71°C.
• Aggiunta di sale e fermenti lattici.
• A 37°C. aggiunta di caglio con coagulazione per 20’.
• Rottura della cagliata a chicco di riso.
• Cottura della cagliata fino a 40°C.
• Trasferimento della cagliata negli stampi cilindrici forati.
• Rivoltatura degli stampi e stufatura per un paio di ore.
• Disposizione in cella a 4°C.
• Dopo un giorno, liberazione dagli stampi e salatura a secco.
• Asciugatura per 3-4 giorni in cella a 4°C

6. DESCRIZIONE E CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO
Formaggio fresco di solo latte di capra biologico a pasta molle di colore bianco leggermente paglierino con gusto dolce e privo di crosta.

7. CONSUMO COMMERCIALIZZAZIONE DEL PRODOTTO
Confezionato in atmosfera modificata ed etichettato secondo la normativa CE

NOTA BENE: Gli ingredienti e il metodo di lavorazioni e quindi anche i prodotti ottenuti potranno subire delle piccole modificazioni dovute alle caratteristiche produttive e agli impianti e/o alle nuove tecnologie che potranno essere inseriti nelle varie fasi del processo produttivo.

Delizia di capra di Marano

L’allevamento caprino e la produzione di formaggi di capra nell’Alto Vicentino ha radici che risalgono fino al 1500, merito della rusticità dell’ animale che non richiedeva particolari attenzioni e quindi lasciato ad alimentarsi liberamente, frenava l’invadenza dei rovi e di altre infestanti, preservando in tal modo il regolare sviluppo delle coltivazioni arboree e dei vigneti, e quindi bene si inseriva nella coltivazione pedemontana dell’alto vicentino, e merito anche della bontà delle sue carni e dei suoi prodotti caseari che integrava l’alimentazione rurale dei contadini.

Sembra che la presenza della capra nel territorio alpino e prealpino sia da far risalire al tempo delle migrazioni dei popoli danubiani che, attraverso i Balcani, giunsero nelle nostre vallate attorno a V millennio a.C. Come per altre specie, l’opera di selezione dell’uomo ha sicuramente modificato la conformazione e la produzione zootecnica.

La frazione lipidica del latte di capra risulta più digeribile e con un maggior coefficiente di assorbimento intestinale rispetto a quella del latte vaccino. Per quanto riguarda il tenore proteico, il latte di capra si caratterizza per un contenuto in proteine totali intermedio tra quello vaccino e quello umano. Dal punto di vista nutrizionale risulta interessante la maggiore quantità di sieroproteine, che aumenta il valore biologico del latte e lo rende più digeribile rispetto a quello vaccino. (tratto da: “Gli Ovi-caprini del territorio vicentino” della Provincia di Vicenza).

  1. 4.INGREDIENTI
  • Latte di capra biologico intero
  • Fermenti lattici
  • Caglio vegetale
  • Sale
  1. 5.METODO DI PRODUZIONE E PREPARAZIONE
  • Pastorizzazione del latte a 71°C.
  • Aggiunta di sale e fermenti lattici.
  • A 32°C. aggiunta di caglio con coagulazione per 14 ore.
  • Trasferimento della cagliata negli stampi cilindrici forati e sgrondo del siero.
  • Leggera salatura a secco.
  • Rivoltatura degli stampi in cella a 4°C.
  • Dopo un giorno liberazione dagli stampi e altra leggera salatura.

 Formaggio fresco spalmabile di solo latte di capra biologico a pasta spalmabile di color bianco di gusto leggermente acidulo e privo di crosta.

NOTA BENE: Gli ingredienti e il metodo di lavorazioni e quindi anche i prodotti ottenuti potranno subire delle piccole modificazioni dovute alle caratteristiche produttive e agli impianti e/o alle nuove tecnologie che potranno essere inseriti nelle varie fasi del processo produttivo.

Il mais Marano di Marano Vicentino

La polenta è uno dei simboli della cucina veneta e questa varietà di mais dalla storia esemplare è quanto di meglio un cuoco possa chiedere per onorare la sua tradizione.

Spetta ad Antonio Fioretti, agronomo da Marano Vicentino, il merito di aver selezionato, circa cent’anni fa un tipo di mais adatto alle terre ghiaiose e asciutte del Leogra. Punto di partenza erano due varietà già acclimatate: come impollinante, il Nostrano, un mais precoce molto diffuso, con pannocchia conica, corta e non molto colorita; come portaseme, il Pignoletto d’Oro, proveniente da Rettorgole di Caldogno, caratterizzato da chicchi vitrei e quasi rossi, dai quali si traeva una farina di qualità superiore.

La varietà risultante, denominata mais Marano, o Maranello, venne riseminata nel podere Fioretti per oltre vent’anni allo scopo di fissarne i caratteri – giusto compromesso tra rusticità e rendimento – e di accrescerne tanto la fertilità quanto la produttività.

La scheda tipologica descrive una pianta di taglia media, alta tra il metro ottanta e i due metri, con stelo esile ma di notevole resistenza al vento, con nodi ravvicinati e foglie numerose. Le pannocchie sono di norma due, ma non di rado fino a cinque, protette da brattee fini e molto aderenti; hanno misure modeste, forma allungata (cm 14-18) quasi cilindrica (circonferenza alla base cm 11-12, all’apice 7-7,5). I chicchi sono tondeggianti e serrati, di un bel colore rosso aranciato, lucidi e a frattura vitrea; sono disposti in file spiralate, destrogire o sinistrogire, ma talvolta anche dritte; danno ottima e abbondante farina con una percentuale di proteine più alta della norma.

Nel complesso il Marano è una varietà dalla resa molto apprezzabile, non tanto in quantità, ma sicuramente in qualità organolettiche, chimiche e molitorie della granella. Negli anni fra le due guerre il mais Marano ebbe notevolissima fortuna in Italia ed anche nel mondo, ma era destino che la sua parabola si esaurisse in tempi altrettanto rapidi di fronte all’avanzata dei cosiddetti mais ‘ibridi’, selezionati privilegiando la resa in quantità. Il confronto tra una pannocchia di Marano e una pannocchia ‘moderna’, l’una metà dell’altra, sembra improponibile, ma l’esito si ribalta a favore della varietà tradizionale quando si scende sul campo della qualità alimentare.

gemellaggioLa polenta di mais Marano è tutt’altra cosa e questa è stata la molla che ha convinto pochi agricoltori dell’alto vicentino a ostinarsi nella sua produzione. La semente in purezza, custodita nella banca del germoplasma dell’Istituto di Genetica e Sperimentazione Agraria Strampelli di Lonigo, è servita dopo anni di oblio a ridare impulso alla coltura. In anni recenti è venuta l’istituzione del Consorzio di Tutela Mais Marano, al quale si deve la redazione di un disciplinare di produzione.

Il testo determina innanzitutto la geografia della coltura. La zona tipica ha come fulcro Marano Vicentino e comprende, da ovest a est, Schio, San Vito di Leguzzano, Malo, Torrebelvicino, Valli del Pasubio, Santorso, Piovene Rocchette, Monte di Malo, Zanè, Thiene, Zugliano, Sarcedo, Breganze, Mason, Molvena e Pianezze. Seguono varie specifiche agronomiche tra le quali la raccomandazione di seguire i dettami della cosiddetta «lotta integrata», che prevede il ricorso minimo a prodotti chimici di sintesi dalla fertilizzazione al diserbo.

Quanto al prodotto finale, sono previsti due tipi: la farina di Mais Marano Vicentino e la farina integrale di Mais Marano Vicentino macinata a pietra; per entrambe è prevista la menzione aggiuntiva «proveniente da agricoltura biologica», qualora certificata a norma di legge. A tutela del consumatore il disciplinare prevede anche un periodo di commercializzazione limitato tra settembre e giugno, corrispondente alla migliore conservazione della farina, nonché la numerazione delle confezioni corrispondente alle quantità di prodotto denunciate ogni anno dagli aderenti al consorzio.

Gli stimoli per visitare le terre del Mais Marano sono molteplici, a partire dalla Festa della Semina, in aprile, e la Festa della Raccolta a fine settembre-primi di ottobre, occasione per gustarlo con i prodotti tipici della Val Leogra, dalla sopressa ai formaggi, ma anche con il pesce che per l’occasione giunge dalla laguna di Venezia.

Ogni occasione, comunque, è favorevole per farne la conoscenza dal momento che il Gruppo Ristoratori Scledensi, in tutto dodici esercizi, ha preso tra gli impegni statutari quello di proporre sempre in menù polenta di mais Marano, variamente accompagnata, dal baccalà alla vicentina al salmì di lepre, dal coniglio alla valleogrina alle costine di maiale con le verze.

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Marc SilverPosted by Marc Silver of National Geographic Ma In Cod We Trust

 

 

May 20, 2011Comments

Scoff not at the cod with its whiskered chin, its wide-e

yed look of perpetual surprise, its mottled brown sides the color of North Sea Crude. There are homelier fish, to be sure, but looks aren’t everything. Dried to leathery hardness, reconstituted by soaking in water for three days, simmered in a pot for three or four hours, served over polenta—miracolo—why it’s a dish worthy of a doge: bacala vicentina.

In Vicenza, the capital of Italy’s Veneto region for which the dish is named, bacala vicentina is as close to being a cultural treasure as you can get. Vicenza—which is 35 miles inland from Venice, famous as the home of the great 16th century architect Andrea Palladio, and a UNESCO World Heritage Site, knows a thing or two about cultural treasures.

Marco Polo may have may have bought jade, silk, and ivory back home to Venice, but his countryman Piero Querini brought dried cod. Querini, a Venetian captain, had been shipwrecked in 1432 off the coast of Norway on Rost, one of the Lofoten Islands, where cod is caught in winter and dried on wooden racks. The sea-blessed Venetians may not have been initially impressed with the too, too solid sides of dried cod he brought back, but the good people of Vicenza, who lived 38 miles inland from la Serenissima, immediately understood the advantage of a fish immune to spoilage.

As the ne plus ultra of fish dishes in Vicenza it is only fitting that bacala vicentina has its very own fan club. It is called the Confraternite di Bacala, the Brotherhood of Cod. The brethren wear gray and gold robes—gray in a nod to the pearl grey back of the codfish, gold for the polenta that is the classic accompaniment to the dish, and each member is knighted, by a tap on the shoulder with a side of dried cod. To be a Brother of the Cod is to take on the solemn duty of protecting the integrity of bacala vicentina and spreading the gospel to others.

Which is why I was among six hundred or so people invited to attend the Grand European Gala of Bacala alla Vicentina, a four-course meal that was part of a bacala festival held always on the last weekend of September in the region. The European Union had just elevated bacala vicentina to the category of a “regional speciality,” placing it in the blue-ribbon company of four other Italian traditional dishes like Pizza Margarita and Sicilian cannelloni, and a delegation from Norway—which exports more dried cod to Italy than any other country—had come to Vicenza to join the celebration. Dinner was served in a huge tent set up in the town square of nearby Sandrigo. There was codfish configured into antipasto tidbits like croquettes for hors d’oeuvres, and then a baccala soup “to prepare your stomach for the main course,” explained Teofilo Folengo, a member of the Confraternite. Finally, the waiters produced the centerpiece offering: Sua Maesta il Bacala alla Vicentina con polenta di Mais Marano—bacala and polenta. It is creamy, rich, redolent of its oceanic origins, and particularly suited for pairing with a vespaiolo, a white wine from the surrounding green hills.

“Excellent,” Folengo pronounced, “but my wife’s recipe is still my favorite.” When not performing his duties in the bacala fraternity, Folengo is a book illustrator. He quickly sketched out a side of dried cod on a napkin so I could see the original ingredient in its raw state. Every year, he explained, five or six members of the Confraternite visit each of the 36 restaurants in the area certified to serve the dish to make sure the bacala is authentic and up to snuff.

Alas, no bacala swam into view for dessert. When I asked Lina Tomedi, one of the first women to be inducted into the Confraternite, if such a thing as a bacala dessert even existed, she assured me it did. In fact, she said, she had not one, but two recipes for a bacala cake, and the next time I came to town she promised to bake one for me.

-Cathy Newman for Pop Omnivore

PRODUTTORI: 

CONFRATERNITA DEI CEREALI SRL
Via IV Novembre, 98 - 36035 Marano Vicentino
Tel: 0445 621677 - e-mail: paola@confraternitadeicereali.com

CANTINA VAL LEOGRA
via Pasubio, 13 -36034 Malo (VI)
Tel.: 0445 602087 - e-mail: info@cantinavalleogra.it 

COMMERCIANTI:

Supermercati FAMILA gruppo Cestaro
Supermercati EURO SPIN
Tutti i Negozi alimentari e macellerie di Marano Vicentino
Alcuni negozi alimentari e macellerie di tutti i Comuni della provincia di Vicenza, Padova, Verona, Treviso , Rovigo,
Alcuni negozi di cosidetti di "nicchia" in altre regioni
Pasticcerie circuito produttori del Consorzio La gata 

RISTORATORI:

Agriturismo LA MERIDIANA di Antoniazzi Rita
via Ca' Bosco, 29 -36035 Marano Vicentino
Tel. 0445 621398 - email: meridianaagriturismo@libero.it

Ristorante Fuoriporta
via Villaraspa, 46 - 36035 Marano Vicentino
Tel. 0445 560699 - email: fuori-porta@tiscali.it

Ristorante Quadrifoglio
via Europa, 32 - 36015 Marano Vicentino
Tel. 0445 622922

Ristorante Antico Borgo
via Cane, 2C - 36015 Marano Vicentino
Tel. 0445 622711 - www.ristoranteanticoborgo.eu

Trattoria da Giancarlo
via Chiesa, 3 - Santacaterina di Schio
Tel. 0445 635056 - email: trattoriadagiancarlo@libero.it

Moltissimi altri ristoranti del Vicentino e delle provincie limitrofe

Circuito Ristorante Che Passione

Ristoranti della Confraternita del Baccalà di Sandrigo

Impastatrice in ghisa con utensile a forcella

Impastatrice con struttura autoportante in ghisa, con utensile impastatore a forcella.


Nel territorio comunale di Marano Vicentino, fin dall’inizio del XX secolo vi sono testimonianze relative alla produzione di macchine impastatrici per pasta da pane e pasticceria ideate e costruite per mantenere invariato il naturale ciclo di impasto, ma sostituendo l’azione delle mani con un utensile azionato da un motore. Le prime macchine furono realizzate per impastare fino ad un massimo di 30 Kg di impasto per volta, utilizzando la combinazione del moto circolare di una ciotola intorno al proprio asse e di un utensile impastatore, anch’esso rotante, in grado di simulare l’azione delle mani all’interno della ciotola stessa. Fu quindi ideata e costruita una struttura, denominata “impastatrice”, in grado di accogliere questi due sistemi meccanici e al tempo stesso di ricevere il moto da una unità esterna (motore). All’epoca, i problemi da risolvere per la meccanizzazione del processo di impasto furono molteplici: la disponibilità di macchine utensili idonee alla lavorazione dei componenti meccanici necessari era scarsa, e lo sviluppo delle moderne tecnologie meccaniche era ancora agli albori.


Prima dell’avvento delle macchine impastatrici, per impastare la pasta da pane e pasticceria, i sistemi erano sostanzialmente due.
Il primo era un sistema totalmente manuale; per ottenere un buon pane impastando a mano occorrevano pazienza e tempo. L’unico attrezzo che serviva era una larga ciotola dove mettere nell’ordine: acqua, malto (o zucchero o miele), lievito di birra, farina (poca alla volta) e sale marino fino (sciolto in acqua e aggiunto dopo 10 minuti dall’inizio dell’impasto). Si iniziava mescolando un po’ di farina nell’acqua con una mano. A quel punto si aggiungeva il resto della farina e si proseguiva finché l’acqua non veniva completamente assorbita. Si rovesciava allora l’impasto su una spianatoia e si proseguiva la lavorazione per circa 20/30 minuti fino a quando l’impasto diventava elastico e non si appiccicava più alle mani.
Il secondo sistema, pur sfruttando esclusivamente la forza delle mani, si avvaleva di strumenti in legno di vario tipo che, attraverso il principio della leva, permettevano di imprimere una forza superiore a parità di sforzo umano. Per il resto, il ciclo di lavoro era uguale al sistema manuale descritto in precedenza. L’unico vantaggio di questo secondo sistema consisteva nel permettere la lavorazione contemporanea di una quantità superiore di impasto.
Fu soltanto con l’arrivo dei motori (a scoppio prima, elettrici poi) che fu possibile pensare e realizzare una macchina impastatrice che potesse sostituire la lavorazione manuale. Con tali macchine si riuscì ad impastare mantenendo le stesse caratteristiche organolettiche dell’impasto ottenuto con le lavorazioni manuali, ma con un grande vantaggio dal punto di vista di tempo e di fatica.

Caratteristiche costruttive distintive del prodotto e dei suoi componenti
La macchina “impastatrice in ghisa con utensile a forcella” De.Co. dovrà consentire la lavorazione di impasti medio-duri con il 45-50% d’acqua, e dovrà presentare le seguenti caratteristiche costruttive:
• struttura autoportante in fusione di ghisa, ai fini del mantenimento di una elevata rigidità strutturale, di un elevato modulo di elasticità e dell’attenuazione di rumori e vibrazioni causate dalle parti cinematiche durante la lavorazione dell’impasto;
• utensile impastatore a forcella, che ruota attorno ad un asse obliquo fisso. Tale particolare disposizione consente di incamerare una maggiore quantità di aria durante la lavorazione dell’impasto, che risulta così maggiormente ossigenato e predisposto per una migliore lievitazione;
• motore unico per la messa in movimento di vasca ed utensile impastatore, con trasmissione a mezzo cinghie, ai fini della perfetta sincronizzazione nei movimenti degli stessi;
• ingranaggi in ghisa funzionanti in bagno d’olio, con trasmissione diretta del moto per mezzo di una coppia conica su corona a fondo vasca, ai fini della riduzione delle oscillazioni meccaniche e del mantenimento del sincronismo cinematico con l’utensile impastatore;
2.3 - Longevità del prodotto
La macchina “impastatrice in ghisa con utensile a forcella” De.Co. dovrà:
• essere stata prodotta ininterrottamente e senza sostanziali modifiche, ai fini della conservazione dell’originale filosofia costruttiva e del design del prodotto, per almeno 30 anni;
• essere attualmente ancora in produzione.


La macchina “impastatrice in ghisa con utensile a forcella” De.Co. dovrà essere prodotta in stabilimenti situati nel territorio comunale di Marano  e
 dovrà essere esibita presso fiere e manifestazioni nazionali ed internazionali, dovrà poter dimostrare la propria notorietà sui mercati nazionali ed internazionali e dovrà essere adeguatamente pubblicizzata ai fini della promozione dell’immagine del Comune di Marano Vicentino, da cui possano derivare occasioni di marketing territoriale con conseguenti ricadute positive sull’intera collettività.

La denominazione De.Co. è riservata al macchinario realizzato in conformità al presente disciplinare ed è proprietà del Comune di Marano Vicentino che la potrà dare in uso a tutte le aziende che dimostreranno di essere in regola con il medesimo disciplinare.

Torchio in ottone per pasta fresca

Il prodotto posto all'interno nel corpo del torchio, per effetto della vite, azionata dal manico, viene spinto attraverso la trafila ottenendo i “bigoli” (spaghetti molto grossi) o “gargati” (rigatoni con spessore di pasta consistente e grosse rigature).


Nel territorio comunale di Marano Vicentino, fin dall’inizio del XIX secolo, in base a documenti contabili e vecchi cataloghi, vi sono testimonianze relative alla produzione di torchi per pasta fresca.

L'idea di produrre la pasta con il torchio ha permesso di velocizzare notevolmente il processo manuale garantendo allo stesso tempo la costanza della forma del prodotto a tutto vantaggio della cottura.


Il “torchio per pasta fresca” De.Co. dovrà consentire la produzione di “bigoli” e “gargati” e deve presentare le seguenti caratteristiche costruttive:

• Il corpo principale chiamato “campana” ricavato da una fusione di ottone e successivamente lavorato per ottenere la forma finale;
• La crociera chiamata “groppo” ricavata da una fusione di ottone e successivamente lavorata per ottenere la forma finale;
• Il manico con impugnatura in legno e le gambe in ferro forgiate artigianalmente;
• Le “trafile” ricavate da barra piena e successivamente forate e portate a misura.
2.3 - Longevità del prodotto
Il “torchio in ottone per pasta fresca” De.Co. dovrà:
• essere stato prodotto ininterrottamente e senza sostanziali modifiche, ai fini della conservazione dell’originale filosofia costruttiva e del design del prodotto, per almeno 30 anni;
• essere attualmente ancora in produzione.
2.4- Ricaduta economica nel territorio comunale di Marano Vicentino
Il “torchio in ottone per pasta fresca” De.Co dovrà essere prodotto in stabilimenti situati nel territorio comunale di Marano Vicentino.


Il “torchio in ottone per pasta fresca” De.Co dovrà essere esibito presso fiere e manifestazioni nazionali ed internazionali, dovrà poter dimostrare la propria notorietà sui mercati nazionali ed internazionali e dovrà essere adeguatamente pubblicizzata ai fini della promozione dell’immagine del Comune di Marano Vicentino, da cui possano derivare occasioni di marketing territoriale con conseguenti ricadute positive sull’intera collettività.


La denominazione De.Co. è riservata al macchinario realizzato in conformità al presente disciplinare ed è proprietà del Comune di Marano Vicentino che la potrà dare in uso a tutte le aziende che dimostreranno di essere in regola con il medesimo disciplinare.